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Dati Instagram in Italia 2018: sull’app oltre il 30% della popolazione

Dati Instagram in Italia 2018: sull’app oltre il 30% della popolazione

Ogni anno mi diverto ad aggiornare l’infografica con i dati salienti di Instagram in Italia. Per chi si fosse perso le analisi precedenti e volesse verificare la crescita di questo social network nel nostro paese ecco i link ai dati dal 2015 al 2017:

Nota Operativa: i dati sono estrapolati dal tool di pianificazione pubblicitaria di Facebook e va considerato che i numeri totali di utenze non corrisponde al totale di utenti unici. Con tutta probabilità una piccola percentuale di utenze è legata a persone con profili doppi o tripli (ad esempio persone che possiedono un profilo in cui pubblicano foto dei propri viaggi e un altro utilizzato per diffondere, che so, i propri selfie oppure utenti che hanno dimenticato le password del vecchio profilo e ne hanno creato un altro successivamente) o a profili legati ad aziende che non sono associabili quindi ad utenti/persone realmente attive a livello social ma vengono utilizzati a scopi meramente commerciali.

Se lo scorso anno avevo definito “sconvolgente” la percentuale di nuovi iscritti Instagram quest’anno la crescita, seppur leggermente più contenuta, non è meno importante. Si è passati dai +6 milioni del 2017 rispetto all’anno prima ai +5,5 milioni di utenti negli ultimi 12 mesi per un totale di 19.300.000 utenze, un valore pari al 34% della popolazione italiana. Per avere un’idea dell’impatto in termini marketing parliamo di un valore assoluto quasi pari all’audience massima di tutti i canali Mediaset (gratis e a pagamento) sommati fra loro nella fascia Prime Time serale. Un dato che non può essere sottovalutato se si pensa a quanto poco si investe ancora in pubblicità sui canali social rispetto alla tv.

A livello di età, come prevedibile con l’aumento del numero totale della user base, diminuiscono un po’ di più le distanze tra le varie classi. Resta dominante quella compresa tra i 18 e i 34 anni ma dal 56% del totale passa al 51%. Il range d’età che guadagna terreno rispetto a quello principe di questo canale è quello 35-55 che passa dal 31 al 34%. Più o meno stabili le percentuali di utenti più giovani (7%) e più anziani (8%) con questi ultimi, quelli compresi dai 56 anni in su, che superano per numero assoluto la fascia dei giovanissimi 13-17.  Insomma: Instagram continua sempre più ad essere un social per tutti e non solo per “giovani”.

La distribuzione donne uomini resta stabile con le donne che si attestano al 51% del totale sfiorando quota 10 milioni contro i 9,4 milioni degli uomini.

Tra le regioni resta in vetta per numero di iscritti la Lombardia con 3,6 milioni di utenti (+700 mila rispetto al 2017) seguita da Lazio e Campania con 2,3 milioni a testa. Per tassi percentuali di crescita la variazione più importante rispetto all’anno precedente la si registra in Molise +140%. Volendo invece confrontare il numero di profili presenti per regione con il numero totale degli abitanti della regione stessa abbiamo un rapporto che premia Lazio, Campania e nuovamente Molise in cui le utenze instagram corrispondono al 39% della popolazione regionale. Meno appeal quest’app sembra invece registrare in Basilicata e Friuli Venezia Giulia in cui la media per 100 abitanti è di 26 utenze.

Ecco a voi i dati principali nell’Infografica Instagram 2018.

dati instagram italia 2018

Quanto deve essere lungo l'oggetto di una newsletter?

Che abbia obiettivi commerciali o anche solo informativi si fanno tanti sforzi in fase di costruzione  e pianificazione di una newsletter. Immagini, header, contenuti, testi, orario di invio. Eppure l’elemento più importante in grado di decretare il successo o il fallimento di una campagna DEM è spesso il più piccolo e quello dato quasi per scontato: l’oggetto della mail.
L’oggetto di una newsletter spesso è didascalico, il cliente ci vorrebbe sempre, o quasi, il nome del brand dentro anche se magari è già contenuto nel nome del mittente. Qualche volta si cerca di riassumere nel subject tutti, ma proprio tutti, i contenuti della newsletter, altre volte ci si sbizzarrisce in personalizzazioni varie (es. “Nome Utente, non perdere questa occasione”). Tutto giusto e allo stesso tempo tutto sbagliato. Dipende da caso a caso ovviamente ma intanto analizziamo il primo particolare: quanto deve essere lungo l’oggetto della newsletter “ideale”?
L’era della Mobile experience, quella in cui l’utente naviga più da dispositivi e su schermi di piccole dimensioni che su computer fissi, impone o quantomeno suggerisce, un vincolo di sintesi e immediatezza.
Da un’analisi effettuata da L2 sull’attività DEM di 77 brand per un totale di 3911 mail analizzate è emerso come mail con oggetti lunghi fino a 10 caratteri registrino in media tra l’1% e il 4% di aperture in più rispetto a mail con oggetto più esteso. Non percentuali assurde, sia chiaro, ma con la numerosità di certi database avere il 4% di aperture in più significa che su un invio verso ad esempio 200.000 mila utenti (nemmeno tantissimi) potrebbero aprire la mail 8.000 utenti in più o in meno a seconda della lunghezza dell’oggetto. Li buttiamo via?
Lunghezza-ideale-oggetto-mail-DEM
Partiamo dal fatto che, sempre dall’analisi L2, la lunghezza media degli oggetti delle varie newsletter, sia diminuita leggermente dal 2016 al 2017 passando da 43 a 38 caratteri. Bene ma forse ancora non basta. I telefoni tipicamente troncano le linee di soggetto a 35 caratteri per cui sarebbe questa la lunghezza massima ideale per rendere la frase leggibile per esteso dall’inizio alla fine.
Ovvio che poi occorra scriverci dento le “cose giuste” e che sia sempre utile e buona norma, soprattutto nel caso di invii verso un numero consistente di indirizzi, effettuare degli A/B test cambiando subject e verificare il relativo open rate scegliendo l’oggetto più performante tra quelli testati.
Verificheremo in un altro momento se, oltre al numero di battute, esistano dei temi, delle parole o delle emoji (quest’ultime molto usate negli ultimi anni ??⏰?⚠️) più motivanti rispetto ad altre per garantire un open rate maggiore.
 
 

Dati e riflessioni dall'Osservatorio Multicanalità 2017 #OM17

definizione di un cluster media
Il titolo dell’evento, oltre che l’immagine qui sopra, riassume un concento chiave dell’edizione 2017 dell’Osservatorio Multicanalità, il convegno promosso e coordinato da Nielsen, School of Management del Politecnico di Milano e Zenith Italy.
Anywhere & Anytime.
Quello che mi porto a casa dei dati e delle riflessioni condivise è sicuramente la necessità di lavorare, come sempre da qualche anno ormai, su più fronti in maniera coordinata cercando il sacro Graal del Marketing ovvero l’equilibro tra efficacia della personalizzazione e capacità di fornire risposte, relazioni, messaggi ed esperienze segmentate all’utente.
Gli asset multicanale vanno governati prendendo come modello le ormai ex start-up che rappresentano oggi i modelli economici di successo: Amazon, Facebook, Google, AirbnB, Uber, Tesla, Netflix, aziende con meno di 15 anni che hanno una grande cose in comune: l’approccio AGILE. Provare, verificare sul campo, saper cambiare, ridurre i tempi di risposta e servizio al minimo.
Cresce l’accesso a internet, con il mobile a fare da traino, e cresce anche la frequenza d’acquisto online. Tuttavia occorre considerare che resta un 40% di over 14 non connesso e che l’acquisto online rappresenta ancora solo il 6% degli acquisti retail. Insomma digital, si, ma non troppo. Ragionare a fondo sulle azioni da intraprendere è dunque quantomai fondamentale.
aumenta-la-frequenza-dacquisto-OM17
Detto dell’ascesa dell’accesso mobile sul fronte media tradizionali assistiamo a un cambiamento del pubblico “storico” che vale come paradigma dell’approccio da adottare in termini di strategia. Il pubblico televisivo giornaliero infatti non diminuisce più di tanto – perde solo 2 punti percentuali nell’ultimo anno – ma cambia le sue preferenze. Colpisce la crescita della TV On Demand e dei canali tematici. In due parole: offerta di qualità e verticale in base ai propri interessi. In una parola: Segmentazione.
Osservatorio-multicanalità-2017-la-tv-si-trasforma
Il terzo media oltre al web e ai canali tradizionali è quello che non è quasi mai considerato tale: Il punto vendita. Una trasformazione di prospettiva e di visione legata ad abitudini già in atto (cercare informazioni su internet per arricchire di contenuto la mia esperienza in store e decidere di acquistare o viceversa, guardo e tocco con mano in store ciò che poi acquisterò online) ma anche alle opportunità offerte dalla tecnologia capace oggi di abilitare esperienze immediate partendo dai dati utente.
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Il negozio deve digitalizzare la sua esperienza. Va in questa direzione una catena GDO come Esselunga con dispositivi per lo scanning dei prodotti, la spesa online, l’evoluzione della app e del suo approccio nell’utilizzo del volantino offerte in modo da seguire lo shopper Journey.
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Chiudo con due citazioni esemplificative che credo sia utile portarsi dietro come mantra di ogni strategia multicanale futura:
“L’impero dei sensi e l’impero dei sensori procedono verso una rapida convergenza” – Giuliano Noci, ordinario di Strategia di marketing al Politecnico di Milano e Direttore scientifico dell’Osservatorio Multicanalità
Il concetto di “esperienza consistente” fornita all’utente deve essere l’obiettivo di ogni azione per spostare l’asset della comunicazione dal concetto di push un po’ più verso quello di poll attraverso un sorta di attrazione gravitazionale. L’esperienza di Amazon sia da esempio.
“Non è la reach quella su cui andiamo a combattere ma l’attenzione dell’utente” – Luca Cavalli CEO di Zenith Italy.
In un mondo in cui l’affollamento pubblicitario è un dato di fatto e in cui il prezzo guida parte delle scelte di consumo solo la personalizzazione di comunicazione e prodotto/servizio può dare potere al brand. Comprendere a fondo il proprio target è imprescindibile.
Il vincitore di questo percorso di cambiamento sembra essere, come citato oggi, il consumatore che ha colto l’opportunità di diventare più esigente e volatile. In questo quadro la marca non può più permettersi di “chiedere”, deve solo dare.
Ecco una sintesi degli interventi e ulteriori dati in versione tweet.

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